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Centri di Riuso e PPR, il conflitto inevitabile

Articolo apparso ad ottobre su Oltreilgreen24, newsletter di approfondimento realizzata dal Gruppo Safe in collaborazione con il Sole24ore. Si ringrazia il Gruppo Safe per la gentile concessione. (Link articolo originale)

I cosiddetti “Centri di riuso”, o “Centri per il riutilizzo”, non sono ancora chiaramente definiti dalla legge. Come ha fatto notare Eleonora Truzzi in un articolo pubblicato sul blog di Leotron nel 2022, “sono considerati come tali quegli spazi in cui una persona può portare gli oggetti che non utilizza più per far sì che possano essere usati da altri, regalandogli una seconda vita. Nonostante i centri di riuso siano spesso oggetto di specifiche politiche nei Piani Regionali di Gestione Rifiuti, per loro non esiste ancora una vera e propria definizione di legge e ciò rende molto difficile distinguerli da altre attività presenti sul territorio. Non è infatti possibile capire in quale modo i centri di riuso si differenzino da un tradizionale punto vendita dell’usato, nel caso in cui avvenga una transazione economica, oppure da un centro Caritas nel momento in cui la donazione è gratuita”. Ma “come consuetudine” specifica la Truzzi “si tende a identificare come centro di riuso un luogo adiacente a un centro di raccolta comunale dove vengono intercettati e distribuiti beni usati per evitare che diventino precocemente rifiuti (…)”. Il ruolo dei Centri di Riuso “non è certo da sottovalutare, perché normalmente sono ubicati in adiacenza dei centri di raccolta comunali, che sono il principale snodo attraverso il quale transitano le 600.000 tonnellate di beni durevoli potenzialmente preparabili al riutilizzo. Ma la preparazione per il riutilizzo, al contrario dei centri di riuso, è vincolata alla normativa sui rifiuti e potrebbe avere un forte svantaggio competitivo verso un’opzione più semplice e, fino ad oggi, caratterizzata da informalità e spontaneismo. I centri di riuso, nel concreto, rischiano di sottrarre agli impianti di preparazione per il riutilizzo tutti i beni maggiormente valorizzabili rendendone impossibile la sostenibilità economica”. In Italia, secondo un censimento del movimento Rifiuti Zero aggiornato al 2021 ce ne sono oltre cento ma il loro numero potrebbe crescere significativamente, non per tendenza naturale ma in seguito a un appoggio istituzionale che potrebbe essere imponente: nella sua Strategia sull’Economia Circolare (2022) il MASE afferma che i Comuni dovrebbero prendere l’iniziativa per costruire, a partire dai Centri di Riuso, filiere commerciali di riutilizzo in grado di generare posti di lavoro e risultati ambientali. E annuncia, a questo fine, lo stanziamento di ben 600 milioni di euro per il periodo 2023-2026!

“I Centri di Riuso”, ha evidenziato in comunicato stampa del 2021 l’allora Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli, “sono posizionati in uno snodo chiave del flusso di beni riutilizzabili. Si tratta dello snodo per il quale transitano 600.000 tonnellate di beni riutilizzabili, che hanno un potenziale economico di quasi 2 miliardi annui. Qualunque siano le politiche che il Ministero deciderà di adottare, è importante che si prevengano scenari dove il commercio al nero diventi dominante. In relazione ai Centri di Riuso, occorre fare chiarezza sulla dimensione della gratuità nella cessione dei beni che è associata a libere offerte in denaro che in realtà sono contropartite economiche. Oggi è una pratica molto diffusa, dato che riguarda oltre il 50% dei centri di riuso censiti, ma si può presumere che non abbia effetti negativi; ma se questo tipo di sistema si estendesse ed evolvesse, gli effetti potrebbero essere disastrosi. L’incremento del sommerso infatti, oltre a provocare un evidente danno all’erario pubblico, creerebbe enormi spazi di irregolarità dei quali si potrebbero beneficiare le stesse organizzazioni criminali che tutt’ora accaparrano i vestiti usati; economie irregolari che, come accaduto con gli abiti usati, implicheranno delitti ambientali, riciclaggio di denaro e violenze”.

Cosa accadrà adesso ai Centri di Riuso, con l’entrata in vigore del regolamento sugli impianti di preparazione per il riutilizzo?

Alessandro Giuliani è il portavoce di Rete ONU, associazione di categoria che riunisce le varie anime degli operatori dell’usato italiani: dai negozi conto terzi fino agli ambulanti, gli enti di solidarietà, i recuperatori di indumenti e le imprese che rigenerano gli elettrodomestici. In merito ai Centri di Riuso, Giuliani prevede che “le strutture più intraprendenti e imprenditive coglieranno la palla al balzo e si trasformeranno in impianti di preparazione per il riutilizzo, coscienti che il cherry picking operato presso gli snodi logistici dei rifiuti urbani non potrà durare ancora molto a lungo. Si tratta infatti, in ultima analisi, di un’emorragia dal ciclo dei rifiuti che non solo andrà a danneggiare le economie di scala degli impianti di preparazione per il riutilizzo, ma genererà anche filiere non tracciate e prive di adeguati standard di controllo e sicurezza. C’è da aspettarsi che prima o dopo il legislatore li ponga fuori legge. Nei nuovi scenari, in ogni caso, bisognerà fare molta attenzione a preservare il libero mercato e la concorrenza. Il fatto che il governo si prepari a far piovere centinaia di milioni di euro sui Comuni perché nascano nuovi centri di riutilizzo potrebbe creare gravi deformazioni e ingiustizie. I Comuni, infatti, tendono a ignorare le microimprese dell’usato presenti nei loro territori e a premiare, anche in modo clientelistico, solo soggetti non profit particolari, e questo avviene indipendentemente dalla qualità e quantità dei loro risultati solidali. Se questi finanziamenti saranno erogati ci aspettiamo che vadano a beneficiare l’intera gamma degli operatori, e non solo quelli che sono meglio posizionati con la politica locale”.


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