di Luca Tremolada
Dopo Apple, anche Google e Samsung venderanno ricambi per smartphone. Il Parlamento europeo chiede prodotti durevoli. Ecco cosa cambierà e perché è una buona notizia per l’ambiente
«L’hai comprato, dovresti possederlo. Punto. Il diritto all’autoriparazione è libertà». Lo slogan lo trovate in bella vista sul sito iFixit. Fondato da Luke e Kyle nel 2003 nella stanza di un dormitorio a Cal Poly, San Luis Obispo è una sorta di manuale di riparazione gratuito condiviso che fornisce guide e strumenti di riparazioni per oggetti di elettronica di consumo ed elettrodomestici. In pratica è un luogo dove si incontra una comunità di persone che si aiutano a vicenda a riparare cose. Recentemente Google e Samsung hanno stretto accordi con loro per fornire componenti. E subito è stato interpretato come il primo vero segnale che l’era dell’auto-riparazione sta arrivando.
Anzi, se guardiamo agli Stati Uniti è già arrivata. A partire da questa estate i clienti americani di Samsung avranno la possibilità di auto-ripararsi i dispositivi Galaxy S20 e S21, e il Galaxy Tab S7+. Una settimana fa Google ha annunciato che a partire dalla fine dell’anno, i pezzi di ricambio Pixel originali saranno disponibili per l’acquisto sul sito di iFixit per tutti gli smartphone Pixel a partire da Pixel 2. Il servizio sarà disponibile negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Canada, in Australia e nei paesi dell’Ue in cui Pixel è disponibile (e quindi anche l’Italia). Al momento, sono attive catene negli Stati Uniti e in Canada, con il marchio uBreakiFix, anche se partnership simili arriveranno presto in Europa, a partire da Germania e Regno Unito.
Apple apripista
I primi a muoversi però sono stati quelli di Apple che a novembre hanno annunciato il Self Service Repair, un programma che in una prima fase riguarderà iPhone 12 e 13 e che proporrà pezzi ai costi di fabbrica per riparare da soli i dispositivi, a patto di restituirli all’azienda. Più avanti si allargherà l’operazione anche ai Mac con chip M1 e ad altri prodotti.
Come dire, nel momento che accettano i big, il piano si inclina per tutti. A spingere in questa direzione è stato il Governo americano che ha cominciato a chiedere alla Federal Trade Commission regolamenti per facilitare le riparazioni di prodotti elettronici da parte di tecnici e laboratori indipendenti. Chi non se la sente di aggiustarsi lo smartphone deve potere contare su un aiuto professionale, e portare il telefono in un centro autorizzato per farlo riparare in modo rapido e conveniente da un tecnico esperto. Il presidente Biden ha poi promesso che arriverà una nuova norma in materia di diritto alla riparazione chiamata Freedom to Repair Act che oltre a includere questi regolamenti farebbe cadere la violazione del copyright che ad oggi interessa i dispositivi riparati al di fuori dei canali ufficiali.
La situazione in Europa
Anche in Europa qualcosa si è mosso. Anzi, da noi l’iniziativa è di più ampio respiro e ha una precisa visione. Secondo un sondaggio Eurobarometro del 2020, il 79% dei cittadini dell’Unione ritiene che i produttori dovrebbero essere tenuti a semplificare la riparazione dei dispositivi digitali o la sostituzione dei singoli componenti, mentre il 77% preferirebbe riparare i propri dispositivi anziché sostituirli. I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche rappresentano il flusso di rifiuti che cresce con maggiore rapidità a livello mondiale, con oltre 53 milioni di tonnellate smaltite nel 2019. L’invito ai giganti delle tecnologie è quello di cominciare a pensare in modo diverso, abbandonando l’obsolescenza (programmata) o comunque la progettazione di prodotti con tempi di scadenza. I produttori non devono solo rendere disponibili pezzi di ricambio e fornire le istruzioni per la riparazione, ma anche rispettare precisi criteri per progettare e realizzare elettrodomestici e televisori.
Il Parlamento Europeo che ha votato le proprie richieste per la proposta della Commissione europea sul “diritto alla riparazione”, ha chiesto infatti che i prodotti vengano realizzati per durare più a lungo e che siano previsti «incentivi ai consumatori» per favorire la riparazione anziché la sostituzione, come «l’estensione delle garanzie o la fornitura di un dispositivo sostitutivo per la durata della riparazione». Nel mirino ci potrebbero essere proprio le pratiche che limitano indebitamente il diritto alla riparazione o che portano all’obsolescenza. Potrebbero essere considerate “pratiche commerciali sleali” e vietate. Se così fosse sarebbe davvero una rivoluzione.